Ho in mente una bella poesia di Rocco Scotellaro, il sindaco poeta di Tricarico che visse la questione meridionale: ‹‹ Io sono un filo d'erba / un filo d'erba che trema / E la mia Patria è dove l'erba trema. / Un alito può trapiantare / il mio seme lontano.›› L’Agro e il vesuviano sono diventati terra di dolore, un grande golgota. Terra di sopravvivenza e di sussistenza dove si può anche morire di dignità per non dare spazio alla vergogna.
Discariche nel verde, gente che rivendica solo una buona qualità della vita e un futuro più sereno. Gente che lotta per la propria esistenza in vita e per un lavoro. Può anche capitare cha a 32 anni la vita non offra più nulla, la gioventù venga cancellata dal problema di dovere necessariamente vivere, che la vita termini sotto un metro di corda. Può capitare.
E’ capitato a V., operaio dell'indotto Fincantieri. La sua vita aveva avuto una ragione, un significato fin quando ha lavorato presso una delle aziende orbitanti intorno all'importante complesso cantieristico navale di Castellammare di Stabia, in crisi produttiva da tempo. La luce si era spenta nella sua anima in quel grigio novembre 2008 quando venne licenziato, parola che suona come un macigno. Da quel giorno iniziò la sua via crucis, nessun lavoro stabile.
Da quattro mesi poi non percepiva più neppure il sussidio di disoccupazione. Nemmeno le ragioni del cuore parevano più funzionare: in crisi con la moglie, era tornato a vivere dai genitori, lontano anche dai due affetti filiali. La sua vita è finita proprio li, nel garage della casa dei genitori, tra Castellammare e Pompei. Forse.