La tecnica legislativa è spesso oggetto di critiche. Del resto se per caso vi capitasse di leggere un testo legislativo di alcuni decenni fa e lo confrontaste con quelli che ordinariamente vengono prodotti oggi notereste una immediata differenza. La chiarezza e la scorrevolezza favorite dai periodi brevi, dalla sintesi e dalla quasi totale assenza di rimandi ad altre norme, sono caratteristiche che si sono andate via via perdendo ed oggi risultano quasi sempre assenti nelle norme prodotte dal Parlamento.
Colpisce, inoltre, la “superfetazione”, ovvero l’aggiunta di concetti del tutto superflui a meno che non sia necessario intendersi anche sulla lingua italiana. Qualche esempio ci aiuterà ad illustrare la bizzarria del legislatore. Per ragioni professionali ci siamo dedicati ad una nuova attenta lettura del Codice degli Appalti, del 2016, oggetto di modifiche e correttivi nel 2017.
Nello smisurato elenco di definizioni trovate anche questa: «scritto o per iscritto», un insieme di parole o cifre che può essere letto, riprodotto e poi comunicato,comprese le informazioni trasmesse e archiviate con mezzi elettronici.
Ora che il legislatore avverta la necessità di stabilire per legge, specificamente ai fini degli appalti, cosa debba intendersi per “scritto o per iscritto” – da notare la finezza della duplice indicazione, perché si potrebbe equivocare (?!) – è una cosa che lascia senza parole, toglie il respiro, mette un’ansia incredibile. Noi comuni operatori siamo assaliti da un dubbio atroce: come abbiamo fatto ad operare sino ad oggi senza che in nessun testo di legge e soprattutto ai fini degli appalti pubblici ci venisse spiegato il significato di “scritto”? Siamo stati degli incoscienti a non porci questo problema fidandoci solo della lingua italiana? E qui casca l’asino, e la questione diventa meno peregrina. Sarà che qualcuno ha sentito l’esigenza di chiarire anche un concetto del genere che ritenevamo così banale, ma perdonate la nostra ignoranza, perché probabilmente in Italia ed in sede giudiziaria potremmo finire con il litigare anche su cosa debba intendersi per “scritto” se non c’è una legge che lo stabilisce? Un altro esempio per chiudere, la definizione di «mezzo elettronico», un mezzo che utilizza apparecchiature elettroniche di elaborazione, compresala compressione numerica, e di archiviazione dei dati e che utilizza la diffusione… .
A parziale attenuante dell’approccio del legislatore immaginiamo solo una cosa: sarà che gli operatori della giustizia (molti giudici ed avvocati) riescono a “cavillare” anche sui termini della lingua italiana e sul loro significato? A quel punto un suggerimento che possa risolvere il problema alla base: approvare per legge il vocabolario della lingua italiana magari come sintesi dei migliori esistente (Treccani, Devoto-Oli, De Mauro etc.). Sarà anche per queste ragioni che la giustizia in Italia funziona male? Ma questo è un altro discorso…
Ing. Michele Russo