Via Nazionale, Strada Provinciale 18. Freddo toponimo per indicare un luogo che racconta un pezzo di vita del “sistema paese”. Lungo queste due chilometri di strada una volta ricoperti di un pavé di sampietrini di pietra vulcanica erano conosciuti come la Via Nazionale di cui conserva soltanto il nome. Rimane soltanto il nome della strada Nazionale, borderline tra la vecchia zona industriale e quella agricola, violentata negli anni novanta da una colata di cemento che ha eroso irrimediabilmente migliaia di ettari di terreno.
Le poche industrie agroalimentari sopravvissute alla crisi economica hanno presto dovuto fare i conti con il disagio dei neo residenti dei nuovi alloggi posti lungo l’asse viario. Una convenienza difficile culminata con la formazione, nel 2013, di un comitato a tutela della zona. Ieri chi diede l’assenso alla grande “colata di cemento” non tenne conto della creazione di spazi verdi e aree di ricreazione e delle istanze sociali. Si doveva costruire e basta, tipica forma mentis eredità degli anni sessanta e settanta.
Nessuno allora pensò di adunare consiglieri e cittadini per captare le loro impressioni sulla nuova cementificazione. Le cronache non ricordano consigli comunali e pubbliche assemblee. Non vi fu clamore, forse perché non c’erano ancora i social, questi strani catalizzatori di consensi virtuali. Così questa parte di città da oltre cinque decenni vive nel disordinato e silenzioso disagio per l’assenza di sotto servizi, di un adeguato piano del traffico e scarsi interventi di ordinaria manutenzione. Un tratto di strada che diventa un vero incubo di sera, nella zona tra la Chiesa della Madonna della Pace e il vecchio distributore di carburanti dove si registrano, da anni, decine di incidenti e investimenti di pedoni.
Lungo i marciapiedi realizzati nell’era Postiglione fa da cornice una perenne discarica abusiva di rifiuti e si registra una lacunosa assenza di spazzini dell’azienda speciale e della videosorveglianza. La “Nazionale” interessa poco, resta per taluni soltanto un serbatoio di voti, un vero quartiere dormitorio, un muro di cemento che delimita quello che rimane del fertile retroterra agricolo sfuggito alla violenza dell’urbanizzazione “sregolata” degli anni novanta. Anche qui si registra la crisi umana e sociale riscontata nel resto del paese e la politica sembra essere completamente orba alle istanze di questa parte di comunità che ha il diritto al voto e paga i tributi.
Luciano Verdoliva