La qualità eccezionale d’uva vendemmiata quest’anno a Bosco de’ Medici ha messo le ali alla progettualità in una fase di La vendemmia sviluppo creativo in cui la Winery assume di fatto la centralità strategica del rilancio della viticoltura autoctona vesuviana, espressione della biodiversità del territorio che ha fatto riscoprire 14 varietà presenti nelle vigne caratterizzate da uno (o 2) vitigni predominanti ( Falanghina e/o Caprettone per le uve bianche e il Piedirosso per le nere). Siamo al via di un’indagine biologica che proseguirà negli esami di laboratorio allo scopo di appurare le caratteristiche dei nuovi vitigni anche se saranno i risultati di micro vinificazioni a dare elementi di giudizio che determineranno le decisioni conclusive su nuove tipologie di vino. I vitigni autoctoni influenzano la differenziazione qualitativa-organolettica del vino e, in pari tempo, stimolano la valorizzazione turistica e la caratterizzazione socio-culturale dei territori. Il Vesuvio e la sua comunità sono stati sempre raccontati dalla storia del vino che produce, tant’è vero che la produzione di un vino “speciale” si trasforma in un formidabile strumento di marketing aziendale al centro iniziative di sviluppo. Il tour degli ospiti lungo i viali di Bosco de’ Medici suscita la curiosità dei visitatori (specialmente americani) sulla storia di Pompei, rielaborata tra mito e leggenda e trasferita nelle attività ricettive dagli eredi di una tradizione agricola che già ai tempi di Augusto utilizzava tecniche e conoscenze efficaci nell’allevamento delle vigne. Lo dimostrano i risultati di commercio mediterraneo che hanno reso mitico il valore di un terroir che Plinio il Vecchio definì “ideale per il vino in quanto prescelto da Cerere e Bacco per la sua amenità”. Intenditori come Virgilio, Plinio, Catone e Columella insegnarono ai posteri a selezionare i vitigni e le tecniche per ottimizzarne il raccolto. I loro manuali hanno fatto scuola nei secoli tramandando il primato del territorio viticolo vesuviano alla pari del Falerno del Massico e del Gauro. Già ai tempi dell’imperatore Augusto si affrontò la problematica dell’impianto migliore. La considerazione, a riguardo, di Marziale (“Questo è il Vesuvio un tempo ricoperto da tralicci di viti da essere quasi adombrato ed era così generoso da riempire i tini”) prova che l’allevamento a tendone e la vite maritata furono tra gli impianti più adottati da allora in poi, conseguentemente fu tralasciata la conoscenza selettiva del patrimonio viticolo ed assegnato al blend indistinto di uve che davano il “vino del Vesuvio” lasciando inalterata la conoscenza della matrice (o viti italiche) di molti vitigni di rinomanza locale (Greco di Posillipo , vino d’Ischia e il vino che cambiò il nome a Torre del Greco). Ora la sperimentazione che la famiglia Palomba ha inteso avviare con la consulenza dell’enologo Vincenzo Mercurio e l’agronoma Antonella Monaco parte dalla biodiversità storica del territorio vesuviano, trascurata (ma non abbandonata) allo scopo di diversificare in futuro la produzione man mano che aumenterà dal momento che si punta a passare dalle 25 mila attuali a 100 mila bottiglie di vino l’anno, con etichetta Bosco de’ Medici. Intanto in cantina aziendale è già in fermento, col metodo classico nella produzione di spumante di Caprettone 2021. Le sperimentazioni sono state avviate in base alla classificazione dei vitigni autoctoni della “Rotonda”: 5 ettari prevalentemente allevati a Guyot che ha riservato alla famiglia Palomba più sorprese (riguardo alla biodiversità) di quanto si potesse immaginare: tra i bianchi Uva Rosa, Catalanesca, Catalanescona, uva del Conte primo tipo, Uva del Conte secondo tipo (oltre al Caprettone). Riguardo ai i rossi Ugliusella, Uva della Masseria, Cancello, Inzolia nera, Pirchia, Cascaveglia, A Rotta e Nufria, Tintorella, Cavalla (oltre al Piedirosso). Ora che il progresso delle tecniche di produzione in cantina hanno aperto prospettive inedite a vitigni locali, in passato trascurati, come è capitato per il Caprettone, che produceva un vinello fino a 20 anni fa, ora (con nuove tecniche) è crescioto fino a conquistare la ribalta dei tre bicchieri Gambero Rosso, assegnato al Pompeii 2018 bianco di Bosco de’ Medici. Esperienza che si presenta di buon auspicio per le micro vinificazioni in anfora di “uve dimenticate” della “Rotonda”. Si parte dalla fermentazione 2 tipi di Uva del Conte in anfore distinte. In prospettiva questo vitigno potrebbe alimentare una nuova vigna. Operazione identica potrebbe essere replicata con l’uva nera Cavalla e un secondo tipo.
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