Anziani. Quando diventano un peso sociale e familiare
La principale preoccupazione quotidiana di molti oggi è la gestione del declino fisico e mentale dei propri cari. Una tematica tanto universale quanto invisibile nel dibattito pubblico, quasi tenuta nascosta, come se non riguardasse le strutture profonde del vivere associato. Spesso questa condizione è ridotta a fatti personali e questioni private tra fratelli riluttanti, è la senescenza di massa e l’assistenza a vite.
La dismissione del “vecchio”
Quando i socialmente “vecchi” spesso vengono collocati nelle case di riposo, oggi denominate più asetticamente RSA, si manifesta, per chi li lascia, una patente forma di “ipocrisia delle promesse”. Un campionario di frasi di “default” che uniscono in un rosario di rassicurazioni frasi del tipo: “qui non ti mancherà nulla”, “verremo a trovarti spessissimo”, “vedrai ti troverai bene”. Frasi che spesso servono da leva, a convincere gli anziani più recalcitranti e ancora lucidi ma anche a coprire una scelta precipitosa che tutti sanno essere in realtà irreversibile ed estrema dell’addio accompagnato, del congedo sociale definitivo, la cancellazione delle interazioni sociali. Decisioni che rappresentano una privazione del libero rapporto con il tempo e lo spazio, uno sradicamento dagli ultimi legami, un abbandono spesso delegato ad assistenti e infermieri spesso demotivati e sottopagati e a quella “solitudine del morente ai giorni nostri” descritta da Norbert Elias già nel 1982.
Gli anziani in effetti non sono mai diventati un “noi”, un soggetto politico, sono ritenuti passivi e improduttivi per i processi. Non hanno mai avuto effettivamente una voce collettiva in relazione a precisi requisiti: la progressiva perdita della mobilità, della lucidità, del libero arbitrio, l’ineluttabile venir meno della speranza, l’estromissione da una società che distoglie lo sguardo. Un fenomeno di segregazione che ricorda anche quello descritto da Foucault per i folli, anzi qui ben più massiccio, dimenticato, occultato e afono.
È vero le case di riposo (anche le più care e curate) sono luoghi protetti ma diventano anche quei luoghi di spersonalizzazione dove l’anziano piange dentro di se. Si consuma la “sindrome da scivolamento” che porta a una rapida consunzione, anche ne giro di qualche mese. In effetti, la reclusione in casa con badanti non è poi troppo dissimile come processo. A scrivere di questa condizione sempre più evidente in una società liquida Didier Eribon con “Militante“, un romanzo rigoroso e straziante di che racconta il momento topico dell’entrata della madre 87enne in una casa di riposo. Pagine che sono, certamente, un grido di denuncia contro l’indifferenza della società verso gli anziani, ma anche una riflessione profonda sulla solitudine e l’abbandono, e un appello a riconoscere la dignità e il valore dei loro ultimi anni di vita.
Luciano Verdoliva